5VIE Art + Design
La Casa dello Zecchiere
via del Bollo 3, Milano
Dal 17 al 22 aprile 2018
dalle 18.00 alle 22.00
Opening mercoledì 18 aprile 2018
dalle 18.00 alle 23.00
(per appuntamenti: +39 335 808 2257)
In occasione della Design Week 2018 la Casa dello Zecchiere ospita la mostra Repeat&Shuffle. Visual Patterns, New Media and Light Art degli artisti Nino Alfieri, Marco Brianza, Massimo Hachen ed Eleonora Roaro. La ripetizione e la casualità accomunano opere che, pur avvalendosi di media differenti, sono accomunate dall’uso del colore, della luce e delle interfacce. Spesso in chiave simbolica, indagano i fenomeni percettivi e il nostro approccio alla conoscenza.
Nino Alfieri (Milano, 1953 – vive e lavora a Milano) utilizza strutture cicliche, spesso legate al cosmo e alla natura, con un interesse verso i processi trasformativi della materia e della luce. Light Sphere è una scultura sferica traforata che evidenzia le analogie tra l’atomo e il sistema solare. La superficie interna, realizzata in gesso dipinto con pigmenti fotosensibili, cambia continuamente colore: è illuminata dalla luce satura dei LED comandati da un Arduino che evocano il ciclo circadiano. In questo modo si alternano diverse gradazioni cromatiche che corrispondono all’alternanza del giorno e della notte. Una scultura in legno che rappresenta l’uroboro – il serpente che si morde la coda, emblema dell’eterno ritorno – emana una luce rossa senza fare uso di elettricità: sfrutta invece la luce parassita dei colori fluorescenti. Ogni tanto una scarica elettrica, realizzata grazie a un sensore che rileva la presenza del pubblico, interrompe la dimensione statica e sempre uguale del tempo ciclico. Un neon ultravioletto e due lampadine rosse di una scultura rotante illuminano, in maniera sempre differente, la grande tela dal titolo Passaggio Dimensionale realizzata con pigmenti fotosensibili. Emergono così forme e colori che, per le frequenze usate, non sono visibili normalmente e si dà risalto alla dimensione contemplativa, arcaica quanto i primi dipinti rupestri a cui fa riferimento Alfieri.
Per Marco Brianza (Varese, 1972 – vive e lavora a Milano) la fotografia, sempre legata alla creazione di algoritmi, è uno strumento per osservare un fenomeno e per registrare variazioni di luce. RED è una riflessione sull’uso del colore nel digitale – in cui i pixel sono elementi discreti e quindi misurabili – e prosegue il discorso iniziato dai New Colorstudies dell’artista concettuale Jan Dibbets, una serie di fotografie realizzate tra il 1975 e il 1976, e rielaborate nel 2012 che ritraggono dettagli di carrozzerie d’automobili. Sono monocromi impossibili in quanto, riflettendo il paesaggio circostante, hanno variazioni di luce sulla superficie. Brianza utilizza un’altra superficie metallica, una lattina di Coca Cola, scelta anche per il suo colore iconico ed estremamente riconoscibile. È fotografata in tempo reale da uno smartphone e un algoritmo software scambia i pixel dell’immagine in maniera casuale. Grazie a una video-proiezione appare un rosso che è, da un punto di vista percettivo, la media dei rossi contenuti nell’immagine e quindi idealmente un monocromo. Il processo di elaborazione ricomincia ogni volta al mutare dell’illuminazione o dell’inquadratura.
La pratica artistica di Massimo Hachen (Milano, 1952 – vive e lavora a Milano) indaga la scienza della visione e la sua profonda ambiguità. Se ciò che il nostro occhio rileva e trasforma in stimoli nervosi è legato a processi fisiologici relativamente conosciuti, quello che noi effettivamente vediamo è dovuto a complessi fenomeni gestaltici. Un oggetto, se illuminato diversamente, è in grado di mutare completamente. Per esempio, la luce parassita cambia non solo il colore dell’oggetto, ma la sua stessa struttura. In questo modo l’ordine diventa disordine, sconvolgendo le nostre certezze sulla percezione. Le opere esposte in mostra riguardano il colore film, ovvero cromatismi che si manifestano nell’aria senza che sia visibile alcuna superficie colorata. Quando è presente genera un caos cromatico, che prevale sulla struttura ordinata delle forme, come nel caso delle sfere dell’opera Bubble o Raggi Curvi. In Due metri di Kiki e due metri di Buba il riferimento principale è il fenomeno della sinestesia, in particolare per la connessione tra suono e forma. Una linea laser viene proiettata su delle superfici con spigoli aguzzi e ondulati a cui sono univocamente associati i suoni di Kiki e Buba.
Eleonora Roaro (Varese, 1989 – vive e lavora a Milano) si focalizza sulle immagini in movimento, con un particolare interesse per il video e l’archeologia del cinema. L’artista rivisita dispositivi e iconografie del passato per riflettere sul modo in cui la tecnologia influenza la nostra percezione del reale. I suoi progetti – in cui fa uso dell’autoritratto con una valenza performativa – sono spesso dei loop, in quanto considera la ripetizione un elemento costitutivo della vita, in termini biologici, storici ed esistenziali. Come afferma Lev Manovich in Il Linguaggio dei Nuovi Media del 2001, il loop non è da considerarsi un limite tecnico, ma un motore narrativo: in questo modo è infatti possibile raccontare storie con pochi fotogrammi. Un elemento simbolico ricorrente sono i palloncini – metafore ironiche dell’effimero. Nel video di un secondo tratto dall’installazione 00:00:01:00 ambientata in luoghi preistorici della Cornovaglia, la sua esplosione ci ricorda dell’impatto catastrofico delle azioni umane sull’ecosistema della Terra, mentre nello zootropio Gli addii non sono mai addii un palloncino nero gonfiato a elio vola via per poi tornare sempre indietro, sottolineando gli aspetti paradossali della vita. La video-proiezione No Needle Is Needed evoca una situazione di perenne costrizione: un palloncino bianco su fondo nero continua ad oscillare sopra un ago, ora piano, ora in maniera violenta, senza mai esplodere.